È possibile che un placebo, cioè una pillola di zucchero che viene data come controllo negli studi clinici abbia invece un qualche effetto terapeutico? Da qualche tempo un articolo pubblicato da un gruppo di ricercatori dell’universitá di San Francisco ha suscitato molte reazioni e commenti. L’articolo é stato ripreso da OggiScienza e da Neuroskeptic ed ampiamente commentato.
Il lavoro studia la sopravvivenza dei pazienti con insufficienza cardiaca curati con farmaci beta-bloccanti nello studio clinico BEST. Il gruppo di ricercatori californiani analizza in particolare i risultati sui pazienti che hanno fatto parte del gruppo placebo.
Pressman, A., Avins, A., Neuhaus, J., Ackerson, L., & Rudd, P. (2012). Adherence to placebo and mortality in the Beta Blocker Evaluation of Survival Trial (BEST) Contemporary Clinical Trials, 33 (3), 492-498 DOI: 10.1016/j.cct.2011.12.003
I risultati del lavoro sono decisamente strani, per non dire, con le stesse parole dell’autore, misteriosi: i pazienti che aderiscono al placebo (sì, questo é il termine tecnico per dire che prendono regolarmente le pillole prescritte dal dottore) vivono più a lungo rispetto a coloro che se ne fregano (no, questo non é il termine tecnico). Chi prende più del 75% delle pillole placebo prescritte ha il 40% meno di probabilità di morire di chi prende meno del 75% delle pillole.
Cioè i pazienti che aderiscono di più al placebo vivono più a lungo! Come é possibile?, il placebo é per definizione inerte, non contiene nessun principio attivo! I ricercatori hanno chiamato questo effetto: “effetto del buon aderente”.

Effetto del buon aderente?
Facciamo un passo indietro e parliamo di un’altro lavoro pubblicato nel lontano 2006:
Simpson SH, Eurich DT, Majumdar SR, Padwal RS, Tsuyuki RT, Varney J, & Johnson JA (2006). A meta-analysis of the association between adherence to drug therapy and mortality. BMJ (Clinical research ed.), 333 (7557) PMID: 16790458
Gli autori analizzano tutti i lavori che hanno mostrato questo strano effetto nel gruppo placebo: gli studi riguardano malattie cardiovascolari, prevezione dell’infarto al miocardio, AIDS, diabete, iperlipidemia ed immunosoppressione dopo il trapianto cardiaco.
I risultati mostrano che i pazienti aderenti al placebo hanno una mortalità più bassa. Odds ratio 0.56; cioé un buon aderente ha metà della probabilitá di morire rispetto a un cattivo aderente*. Sia Simpson che Pressman giungono agli stessi risultati ma Simpson da una interpretazione diversa. La spiegazione che propone è che coloro che aderiscono di piú al placebo hanno anche abitudini di vita più sane, fanno esercizio, seguono una dieta, vanno regolarmente dal dottore, prendono regolarmente anche le altre medicine prescritte e si fanno vaccinare; ed é questo che fa la differenza. Quindi aderire ad una terapia indica se si ha a cuore la propria salute e si ha uno stile di vita sano.
Chi ha a cuore la propria malattia prende le pillole e fa esercizio, tutto qui.
Infatti stiamo parlando di due cose distinte. Le terapie delle malattie studiate hanno due componenti, una componente farmacologia, ed una, importante, riguardante le abitudini di vita. Il paziente per evitre una ricaduta o per migliorare il suo stato di salute deve anche avere uno stile di vita sano.
Per esempio per i diabetici e gli iperglicemici é importante seguire una dieta, per chi ha avuto un infarto al miocardio fare esercizio e seguire una dieta, per i pazienti HIV positivi evitare dei comportamenti a rischio … (non sono riuscito però a troverne componenti terapeutici non-farmacologici per i trapiantati di cuore).
Purtroppo questo aspetto non é stato studiato perchè l’attenzione era concentrata sul preparato farmacologico e nessuno ha pensato di prendere nota dello stile di vita dei pazienti. Pressman ammette candidamente che:
The data contained relatively little information about potentially important lifestyle factors such as exercise, diet, and psychological states; hence, residual confounding may be present despite the extensive multivariate modeling.
Sarebbe molto interessante scoprire se questo “effetto del buon aderente” esiste anche nelle terapie che non hanno una componente “stile di vita” e questo sì, sarebbe veramente misterioso.
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* Detto tra parentesi osservano anche che coloro che aderiscono ad una terapia farmacologica nociva hanno il doppio delle probabilità di morire rispetto a chi non lo fa (ouch!!).